Come comportarsi quando la sorgente di infezione “COVID19” è sconosciuta

La lotta contro questa pandemia, si è detto molto forse in alcuni casi, anche troppo. Si è parlato di DPI carenti, certificati e sicuri, talvolta si è fatto dell’erba tutto un fascio, tra dispositivi di protezione individuale (DPI) e dispositivi medici (DM). Tutte le organizzazioni mondiali si sono adoperate a redigere linee guida o buone pratiche, su come comportarsi sia nella vita di tutti i giorni, sia nei luoghi di lavoro, sia nei ambiti sanitari.

Tutto giusto nulla da criticare, ma ora fermiamoci a riflettere!

E dunque gli agenti biologici, con riferimento anche all’articolo 268 del Testo Unico sulla Sicurezza sui Luoghi di Lavoro DLgs 81/08, sono “suddivisi in quattro gruppi di rischio;

Agente biologico del gruppo 1: un agente che presenta poche probabilità di causare malattie in soggetti umani;

Agente biologico del gruppo 2: un agente che può causare malattie in soggetti umani e costituire un rischio per i lavoratori; è poco probabile che si propaghi nella comunità; sono di norma disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche;

Agente biologico del gruppo 3: un agente che può causare malattie gravi in soggetti umani e che costituisce un serio rischio per i lavoratori; l’agente biologico può propagarsi nella comunità, ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche e terapeutiche;

Agente biologico del gruppo 4: un agente che può provocare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori e può presentare un elevato rischio di propagazione nella comunità; non sono disponibili di norma efficaci misure profilattiche e terapeutiche”.

Chiaro è che il COVID 19 appartiene alla classe di rischio 4

Evidentemente una corretta classificazione dei microrganismi è fondamentale per una prevenzione efficace del rischio biologico: è da questa classificazione che “derivano direttamente le misure di tutela da adottare e le conseguenti sanzioni nel caso che tali misure non vengano impiegate e rispettate”.

Alle misure di prevenzione e di emergenza il D.Lgs. 81/2008 dedica diversi articoli.

In questi ultimi tempi si sono poste delle modifiche ad alcune linee guida degli organi internazionali solo per mancanza dei DPI, quali nello specifico le mascherine FFP3 o FFP2 per carenza delle stesse, sostituendole con le chirurgiche, che è doveroso precisare sono presidi medici (DM) e non Dispostivi di Protezione Individuale DPI.

Difatti anche lo stesso Istituto Superiore di Sanità ha rimosso [LEGGI] (nella pagina dedicata alle linee guida) le Linee guida dell’OMS del 27 febbraio [LEGGI], poichè non idonee negli ambienti Covid-19.

Le mascherine chirurgiche (ad almeno 3 o 4 strati), che ricordiamo sono un dispositivo medico, potrebbero essere anche efficaci nell’assistenza dei pazienti Covid-19 positivi paucisintomatici o in attesa di tampone, ma solo se anche i pazienti indossano una mascherina chirurgica, altrimenti l’efficacia è praticamente nulla.

Il  coronavirus che causa la malattia da COVID-19 può sopravvivere per ore o giorni negli aerosol (quindi nell’aria che respiriamo) e su oggetti e superfici. Anche dentro casa. Lo dimostra un nuovo studio, pubblicato sul New England Journal of Medicine a firma dei National Institutes of Health e dei CDC americani, insieme alle università di Princeton e della California (UCLA, Los Angeles).

Secondo i dati appena pubblicati, il coronavirus-2, causa della grave sindrome respiratoria acuta (SARS-CoV-2) è ancora rintracciabile negli aerosol (quelli generati da colpi di tosse o starnuti) per almeno tre ore e sulle superfici per diverse ore a seconda del materiale interessato: fino a 4 ore su superfici di rame, fino a 24 ore sul cartone, fino a 48 ore sui tessuti e fino a 2-3 giorni su plastica e acciaio inossidabile.

Alla luce di questo poniamoci una domanda:  un operatore sanitario può tutelarsi da un agente patogeno quando conosce la fonte, in questo caso il paziente covid 19, e mettere in atto tutte le misure preventive, ma quando la sorgente è sconosciuta poiché non identificata e nel contempo non può attenersi alle pratiche di uso comune quale il distanziamento di un metro e via dicendo che cosa succede?

Ad una interpretazione della situazione attuale possiamo dire che, oggi gli operatori sanitari hanno i mezzi, dove più dove meno, per tutelarsi dalla sorgente di infezione se questa è il paziente certo, ma non hanno nessuna arma per tutelarsi se la fonte è incerta, come un collega asintomatico o lui stesso.

A questo punto domandiamoci se io come esercente le professioni sanitarie mi posso in qualche maniera tutelarmi da un contatto con un malato covid 19, come mi tutelo e come tutelo i miei colleghi se sono o siamo asintomatici?

Forse sarà il caso di identificare tutti i lavoratori positivi e asintomatici da quelli sani? tramite il test?

Il Direttore Generale dell’OMS il giorno 11 marzo u.s ha dichiarato che l’unico modo per interrompere la diffusione è isolare chi risulta positivo e l’unico modo per individuare la positività è quella di trovare, isolare, testare e trattare [LEGGI].

Molti sono i virologi che indicano come arma principale, per combattere il virus, quello di trovare i positivi asintomatici o paucisontimatici, attraverso i tamponi dei soggetti a rischio e chi più degli Operatori Sanitari sono più a rischio??

Ci sono oltre 10 mila casi accertati di contagi tra gli operatori sanitari con decine di vittime accertate, queste sono dovute dalla mancanza di conoscenza della fonte di infezione e soprattutto per Dispositivi di Protezione Individuali non idonei o addirittura assenti.

La stessa Circolare del Minstero della Salute ha indicato come prioritari i tamponi agli operatori sanitari, ma purtroppo è rimasta solo sulla carta e non ancora attuata [LEGGI].

Quindi le mascherine chirurgiche hanno una limitata efficacia rispetto alle FFP2/3, ma purtroppo in  alcune realtà non hanno neanche le mascherine chirurgiche nei reparti No Covid-19 pertanto il rischio potenziale non viene calcolato.

L’art. 16 del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020 indica chiaramente che: “Per contenere il diffondersi del virus COVID-19, fino al termine dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, sull’intero territorio nazionale, per i lavoratori che nello svolgimento della loro attività sono oggettivamente impossibilitati a mantenere la distanza interpersonale di un metro, sono considerati dispositivi di protezione individuale (DPI), di cui all’articolo 74, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.81, le mascherine chirurgiche…”.

Pertanto se ogni lavoratore nello svolgimento della propria attività non rispetta la distanza interpersonale, dovrà utilizzare una mascherina chirurgica e la stessa cosa il paziente che sta assistendo.

Può sembrare banale ma ci sono ancora realtà dove non tutti gli operatori sanitari e pazienti hanno in dotazione una banale mascherina chirurgica.

Per concludere facciamo un esempio: posso io dire al mio collega di stare un metro di distanza quando prestiamo assistenza al letto di un malato? Si deve far presente che in ambito sanitario si lavora in equipe e tutti a stretto contatto sia fisico che per competenze.

Riflettiamo non è ora di porsi a tutti i livelli queste domande?

La Redazione CoinaNews

 

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