L’infermiere dipendente sia pubblico che privato può richiedere il rimborso della tassa IPASVI

Dopo il grosso polverone sollevato per i 73 infermieri accusati di esercizio abuso della professione per non aver pagato la tassa annuale del collegio Ipasvi, e il congresso dell’AADI di Modena del 30 Aprile 2015, a molti il dubbio sull’iscrizione al collegio Ipasvi è rimasto.

Le controversie finora sollevate per l’iscrizione al collegio Ipasvi son dovute al fatto che molti colleghi non pagano la quota annua e non perché, come molti sostengono, il non essere iscritto o non pagare la quota annua all’Ipasvi sia esercizio abusivo della professione infermieristica.

In questo ci viene in aiuto la sentenza del Tribunale di Pisa del 21/05 /2010, dove il tribunale assolve l’infermiera per abuso di esercizio della professione infermieristica, poiché non risulta iscritta al collegio Ipasvi.

Tanto premesso in fatto, osserva il Tribunale che nel caso di specie non possa ritenersi integrata la fattispecie di cui all’art. 348 c. p., in quanto – con il conforto della giurisprudenza della Suprema Corte (cfr., da ultimo, Cass., VI sez. pen., 4/11/08 n. 6491, Pramaggiore – conf. Cass., VI sez. pen., 1/4/03 n. 28306) – può affermarsi che l’obbligo di iscrizione all’albo professionale è previsto solo per coloro che esercitano liberamente la loro attività professionale mediante contratti d’opera conclusi direttamente con il pubblico dei clienti, a norma degli artt. 8 e 10 del D. Lgs. n. 233 del 1946 e non anche per coloro che prestano la propria attività all’interno di una struttura sanitaria, pubblica o privata che sia. In quest’ultima ipotesi l’unico requisito richiesto è il possesso del titolo abilitante a svolgere quella determinata attività professionale.

In altri termini, quando l’infermiere presta la sua opera all’interno di una struttura sanitaria, l’utenza fa affidamento sulla garanzia offerta dalla struttura alla quale si rivolge e, dunque, non instaura un rapporto diretto con il singolo operatore sanitario che in essa lavora. Può quindi affermarsi che in tal caso la prestazione dell’infermiere non è espressione del libero esercizio professionale, ma costituisce piuttosto adempimento di un dovere connesso al rapporto che lo lega alla struttura sanitaria nella quale opera, con la conseguenza che, per l’esercizio di tale attività, non è richiesta l’iscrizione al relativo albo, ma è sufficiente il possesso del titolo abilitante, che nel caso portato all’esame del Tribunale è pacificamente in possesso dell’imputata.

L’iscrizione al Collegio è da tempo fonte di dibattito interno e di una regolamentazione a tratti lacunosa, o comunque aperta a più interpretazioni. In diversi hanno evidenziato che la legge 43/2006 è stata in parte inattuata. Infatti seppur prevedeva l’obbligo di iscrizione, sanciva altresì la necessità di trasformare i collegi in ordini demandando a un decreto (mai emanato) l’indicazione dei criteri e dei titoli per l’iscrizione agli istituendi ordini e di conseguenza agli albi.

Alla luce di questa sentenza appare evidente che se l’iscrizione è obbligatoria solo per il libero professionista, ma non per il professionista dipendente della struttura, non avendo l’obbligo di iscrizione poiché la sua opera è a totale disposizione dell’azienda, ne consegue che la tassa annuale al collegio Ipasvi per tutti gli infermieri iscritti al collegio, debba essere pagata dal datore di lavoro quale unico fruitore dei servizi del professionista infermiere.

Per maggiori informazioni e su come diffidare l’azienda al pagamento della tassa annua all’IPASVI e richiedere gli arretrati per le tasse precedentemente pagate può rivolgersi alla sede Coina.

Modulo Rimborso-IPASVI

La redazione

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